Benvenuti Vincenzo e Francesco Bianco.
Grazie.
Vincenzo, classe 1953, artigiano poi imprenditore. Imprenditore si nasce o si diventa?
Forse l’uno e l’altra. Io sono figlio di imprenditore, vengo da generazioni di panettieri. Io non ho seguito le orme di papà e nonno ma di mio zio che lavorava in tipografia.
Vincenzo, da grande cosa volevi fare?
Ho sempre immaginato di fare il tipografo e quando ho avuto modo di sperimentarlo ho capito che era la mia strada, così sono rimasto in tipografia. La curiosità della stampa era ciò che più mi affascinava.
Raccontaci un po’ questo mondo e quali sensazioni negli anni ‘60 e ‘70 si vivevano in una tipografia.
Era un mestiere molto manuale, quindi dovevi impegnarti per crearlo, per poter stampare qualcosa. C’erano anche tante figure che oggi non ci sono più. Io ho iniziato come compositore, ovvero quello che metteva le lettere una fianco all’altra e componeva un titolo, un testo. All’epoca per fare un giornale ci voleva una settimana. Oggi si fa velocemente. Era un lavoro prettamente artigianale.
Qual è il ricordo più bello che hai di quel periodo e che ricordi hai del primo giorno di lavoro?
Il ricordo più bello è quando abbiamo stampato il mio primo libro, un lavoro importante di responsabilità. L’ho impaginato, l’ho passato al macchinista che lo ha stampato, e all’autore che me ne ha regalato una copia con dedica. Questo libro parlava di poesia. All’epoca si usavano tantissime le poesie, a differenza un po’ di oggi. Ricordo l’emozione e la soddisfazione di aver realizzato un prodotto finito.
Da operaio apprendista sei diventato autonomo. Com’è stato il cambiamento, lo switch?
Ho lavorato in varie tipografie dove ho acquisito tanta esperienza, imparato a stampare libri, giornali, riviste che all’epoca si usavano tantissimo e poi ad un certo punto ho cominciato a pensare di mettermi in proprio. I primi tempi erano molto molto duri. Ero già sposato, avevo un figlio, Francesco. Le spese erano tante, io e mia moglie abbiamo fatto tanti sacrifici.
Da impresa personale ad impresa familiare perché con tua moglie hai condiviso tutto l’inizio.
Sì, l’inizio è stato insieme a lei e siamo cresciuti insieme. Ho aperto nel Gennaio del 1983. L’economia rispecchiava un po’ il trend del Paese, poi negli anni ‘90 le cose sono migliorate. Ho cominciato a farmi conoscere perchè ero bravo a stampare libri e riviste. In pochi anni ho acquisito tantissimi clienti che stampavano libri e giornali.
Quanto è importante che un ragazzo che oggi va all’università divida il suo tempo tra studio ed esperienza sul campo?
Io penso che sia indispensabile, perché lo studio è importante, però è anche fondamentale la pratica. L’ideale sarebbe fare scuola e lavoro per specializzarsi. L’intelligenza artigiana va coltivata ed è importante formare i ragazzi.
Mettere la famiglia insieme sotto il tetto di casa ma anche sotto il tetto dell’azienda. Quanto è stato importante?
Diciamo che pensare all’attività significa un po’ trascurare la famiglia. Quindi il tempo l’abbiamo trascorso qua. Indubbiamente stare con mio figlio e mia moglie aiuta anche a superare i momenti bui che abbiamo avuto.
Da grande cosa vuoi fare?
Da grande? Sono abbastanza grande adesso. Mi basta quello che ho attualmente ed ho realizzato insieme alla mia famiglia.
Francesco chi volevi diventare da grande.
Un ragazzo come tanti che aveva l’attività del padre e aveva come riferimento dei valori e delle prospettive. In realtà l’attività è sempre stata una seconda casa, sono cresciuto qui perché quando finivo la scuola venivo qui in tipografia e stavo con loro fino alla sera e poi andavamo tutti a casa.
Per te papà cosa rappresenta?
Abbiamo un rapporto che va oltre padre-figlio, è quasi fraterno, amichevole, perché passando tutto il periodo dell’adolescenza e tutte le ore e le giornate insieme è stato la mia fonte di ispirazione. Papà è partito da solo con tanti sacrifici ed io crescendo ho voluto continuare questa attività.
Cosa consiglieresti ai giovani?
Devono apprendere quante più cose possibile, e qualsiasi cosa scelgono di fare devono farla con passione. Io avevo quest’ambizione: portare una piccola bottega artigiana ad essere la bottega artigiana di riferimento sul territorio. Spero che anche altre generazioni possano avere questa fame di ambizione, di vita e di successo.
In che modo è cambiato il tuo mercato di riferimento?
Nell’ultimo ventennio la nostra azienda, come un po’ tutto il nostro settore, ha avuto un cambiamento radicale perché si è passato dalle stampe tradizionali, dove c’era programmazione, stabilità, quindi un mercato più statico, ad un mercato molto dinamico, molto vario perchè con la diffusione dei social, sono subentrati tanti altri modi di comunicare. Siamo un’azienda camaleontica, ci siamo messi al passo coi tempi, adeguandoci all’avanzamento delle tecnologie.
Quanto vale il Made in Italy?
La qualità è importantissima perché Il Made in Italy è molto ricercato, soprattutto con l’avanzare della globalizzazione. Noi facciamo sì che il prodotto sia sistematicamente preciso, sempre uguale, e soprattutto certificato nella qualità.
Qual è la visione futura che hai della Tipografia Bianco?
Negli ultimi 2-3 anni abbiamo fatto investimenti importanti, per cui abbiamo prefissato di avere un maggiore controllo qualità ed una maggiore rapidità nella produzione.
Quanto è importante avere un grado di autorevolezza superiore alla media quando si fa un lavoro come il tuo, sia artigianale che industriale?
Avere una forma di autorevolezza è fondamentale perché io sono il titolare, ma è altrettanto importante fare gioco di squadra, senza cui non sarebbe possibile completare ciò che realizziamo ogni giorno.
Franco, cosa vuoi fare da grande?
Se non l’imprenditore qui, probabilmente il manager in qualche altra azienda seguendo sempre la fame di crescita.
Grazie a Vincenzo e Francesco.
Grazie a voi tutti.
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