Benvenuto Flavio Maione, fisioterapista, formatore, giornalista con un incarico in Commissione Salute e fondatore di progetti solidali.
Grazie mille. È una grande emozione per me essere qui e raccontarmi.
Iniziamo dalle radici. Dove sei nato, Flavio?
Sono nato a Venezia, nel 1969. Vengo da una famiglia di commercianti: mio padre aveva un’attività e quella cultura del lavoro, dell’autonomia, mi è entrata dentro da subito. Anche se ho preso strade diverse, quella base imprenditoriale non mi ha mai abbandonato.
Dopo il servizio militare, che percorso hai seguito?
Ho lavorato per un periodo in un’azienda di trasporti pubblici, in biglietteria alla stazione centrale. Un lavoro sicuro, certo, ma… non era ciò che sognavo. Sentivo che mi mancava qualcosa, non ero felice.
È lì che arriva la svolta?
La svolta vera arriva quando inizio a lavorare in una palestra. Comincio ad avvicinarmi alle persone con problemi fisici: lombalgie, scoliosi, traumi sportivi. Nasce lì la mia passione. Ma non mi bastava ancora. Volevo fare la differenza sul serio, curare davvero. E così, con un bel po’ di coraggio, ho deciso di iscrivermi all’università. Avevo più di trent’anni.
Una scelta forte, in controtendenza.
Sì, all’epoca molti mi davano del pazzo. Lasciare un lavoro fisso per un sogno… Ma io sono così: se sento che qualcosa è giusto per me, non mi fermo. Mi sono laureato in Fisioterapia nel 2005 a Siena, con entusiasmo e una gran voglia di mettermi in gioco.
Dopo la laurea, però, non ti sei fermato.
Assolutamente. Ho lavorato in un centro di riabilitazione, sono diventato responsabile di reparto, ma non mi bastava. Il paziente diventava un numero. Io volevo tempo, dedizione, relazione. Ho deciso di fondare il mio studio. E così è nato Fisio Maione, partendo da 35 metri quadrati, con le mie forze e pochi mezzi.
E oggi?
Oggi lo studio è grande quasi 200 metri quadrati, dotato di apparecchiature elettromedicali avanzate. Offriamo riabilitazione ortopedica, neurologica, sportiva e anche interventi di fisioestetica, sempre con rigore medico. Il cuore del nostro approccio resta l’empatia: ogni paziente è una persona, non un caso clinico.
Non hai mai smesso di formarti, vero?
Mai. La formazione è parte del mio DNA. Dopo la laurea ho fatto anni di tirocini gratuiti, ho imparato osservando, rubando con gli occhi da chi sapeva. Oggi dico sempre ai giovani: prima imparate, poi comunicate. E soprattutto: aggiornatevi costantemente, ogni giorno. È un dovere verso se stessi e verso i pazienti.
E la comunicazione sanitaria?
È un’arma a doppio taglio. Io comunico poco sui social, solo se c’è una base scientifica dietro. Troppa gente oggi fa video su TikTok parlando di patologie senza competenze. È pericoloso. Ogni messaggio che riguarda la salute deve essere affidato a figure competenti. Il fisioterapista parla di ciò che riguarda il suo ambito, non di tutto.
Come possono i pazienti tutelarsi?
Semplice. Si va sul sito dell’Ordine – dei fisioterapisti, dei medici, degli infermieri – si cerca per nome e cognome e si verifica se quella persona è davvero abilitata a esercitare. Oggi ci si può tutelare facilmente, basta volerlo fare.
Parliamo ora del tuo lato umano e sociale. Hai fondato un ambulatorio solidale.
Sì, nel 2012 nasce Moscati – Medici per la Vita, il primo ambulatorio per indigenti nella provincia di Napoli. È stato un gesto d’amore verso chi non può permettersi le cure. Mi piacerebbe fare lo stesso per la fisioterapia: tanti anziani, oncologici, neurologici non iniziano le cure perché non hanno accesso tempestivo ai servizi. Ma sappiamo quanto sia cruciale iniziare subito. Inoltre, sono stato Delegato Area 1 (Formazione e Prevenzione) della Croce Rossa Italiana e ho prestato servizio con il 118 durante l’emergenza Covid.
Hai anche seguito molti sportivi. Come funziona lì?
È un mondo complesso. Ho lavorato con calciatori, judoka, tennisti. Spesso un infortunio deriva da una preparazione sbagliata. Il trattamento è fondamentale, ma la prevenzione ancora di più. La fisioterapia sportiva è un gioco di squadra tra preparatori, medici, fisioterapisti. Se uno sbaglia, l’atleta rischia grosso.
E tu vieni anche dal mondo del giornalismo.
Esatto. Negli anni ’90 lavoravo con Campania Press. Ho seguito cronaca nera, eventi politici e anche il G7 a Napoli. Facevo l’operatore, giravamo con telecamere da dieci chili. Ho fatto servizi per Studio Aperto, Canale 5… Esperienze forti, come quella su Ustica. Ricordo ancora il rumore delle videocassette, l’adrenalina di consegnarle in Vespa per arrivare in redazione.
Una vita piena di esperienze. E poi c’è la moto…
Eh sì. La moto è sempre stata il mio mezzo di libertà, di lavoro, di evasione. Oggi ho meno tempo per lei perché c’è Ginevra, mia figlia. Ma se oggi devo scegliere, la mia priorità è lei. È lei il mio motore.
Sei felice, Flavio?
Sì. Ho mia moglie, mia figlia, la mia professione, la possibilità di aiutare gli altri. Certo, non è tutto facile, ma sento di avere trovato un equilibrio. E continuo ad avere fame: di sapere, di crescere, di costruire.
E cosa vuoi fare “da grande”?
Continuare su questa strada. Vorrei migliorare ancora lo studio, formare nuovi professionisti, e magari – perché no – realizzare quel sogno di un centro riabilitativo solidale. Ma soprattutto vorrei costruire un futuro sereno per mia figlia.
Grazie Flavio.
Grazie a voi per avermi ascoltato.
Francesco Russo

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