Benvenuto Gaetano raccontaci le tue origini.
Grazie. Sono nato a Barra nel 1963, da una famiglia umile e laboriosa.
Ami e ti impegni molto per il tuo territorio.
Esattamente. Da anni mi spendo per valorizzare la nostra periferia. A Barra, Ponticelli, San Giovanni ci sono ville storiche, tradizioni secolari come la festa dei Gigli, la tomba del pittore Solimena. Ma tutto è abbandonato. Lo dico spesso: il turismo a Napoli non può essere solo Spaccanapoli e Piazza del Plebiscito. Le periferie sono una risorsa, potrebbero diventare motori economici se solo le istituzioni ci credessero davvero.
Qual è il ricordo più vivido della tua infanzia?
Ricordo un quartiere pieno di vita. C’erano cinema, teatri, circoli culturali. Oggi quei luoghi sono scomparsi, e con essi una parte del tessuto sociale. È una perdita enorme. Noi oggi proviamo, con varie associazioni, a far rivivere almeno una parte di quella vitalità.
Da bambino, sognavi di fare l’imprenditore?
No. Non avevo un sogno preciso. Ho iniziato a lavorare presto per necessità. Sono cresciuto in una famiglia dove si doveva conquistare tutto: anche una moto o un paio di scarpe migliori. Questo mi ha insegnato tanto. Ho fatto mille mestieri: agente di commercio, poi rappresentante, poi imprenditore. Ogni 5-6 anni cambio settore, per stimolarmi e imparare qualcosa di nuovo.
Quanto è stato importante per te il primo lavoro?
Essenziale. Quei “lavoretti” ti insegnano la disciplina, il rispetto per il lavoro altrui. Ai miei tempi si imparava nelle botteghe. Mio padre pagava pur di farmi “imparare il mestiere”. Oggi è tutto più burocratico, meno spontaneo.
Hai avuto figure di riferimento?
Non veri mentori, ma ho ricevuto lezioni durissime che col tempo si sono rivelate preziose. Un esempio? Quando persi il lavoro da direttore commerciale, andai a chiedere aiuto a un parente. Ci trattò con freddezza. Quel giorno stesso, per orgoglio, comprai un giornale, risposi a un annuncio, e iniziai un nuovo lavoro. Il primo mese guadagnai più di quanto avessi mai preso. Da lì non mi sono più fermato.
Vendere è talento o tecnica?
Entrambi. Si può imparare a vendere, ma bisogna avere empatia, passione, intuito. E soprattutto bisogna credere in quello che si vende. Io ho sempre scelto prodotti che mi appassionavano. Se ami quello che fai, vendere diventa naturale.
So che la moto è una grande passione per te.
Sì, e nasce da una riabilitazione: a 9 anni mi ruppi i tendini di una mano. I medici consigliarono movimento. Mio padre mi regalò una Lambretta. Da lì è cominciato tutto. Per me la moto è stata libertà, sfogo, identità.
Quando hai capito che non volevi “dipendere da nessuno”?
A 13 anni. Il mio primo lavoro da dipendente fu in un negozio di autoricambi. Dopo una settimana durissima, il titolare esitava a pagarmi. Decisi allora che non avrei mai più voluto lavorare “per altri”. Da allora ho sempre cercato l’indipendenza.
E oggi cosa significa per te “fare impresa”?
Fare impresa è dare un contributo concreto alla propria comunità. Tutti possono diventare imprenditori, ma bisogna distinguere tra chi lo fa per arricchirsi e chi lo fa per costruire. Io ho sempre cercato di lasciare un segno positivo.
Quali figure imprenditoriali ammiri?
Sicuramente Berlusconi, un genio in ogni ambito che ha toccato. Ma anche imprenditori umili e coerenti, come chi lavora sodo senza ostentare. Ho conosciuto un imprenditore che cacciò il figlio dall’azienda per aver comprato una Ferrari: “Noi lavoriamo per essere, non per apparire”. Una grande lezione.
Veniamo al tuo progetto Dream Music.
Nasce da mio figlio Davide, pianista. Abbiamo iniziato con una sala prove, poi si è trasformata in uno studio televisivo e musicale. È il nostro orgoglio, e l’abbiamo volutamente costruito a Barra, per restituire qualcosa al nostro quartiere. Dopo il Covid è stato durissimo, ma oggi è una realtà viva e riconosciuta, che ospita artisti straordinari.
Cos’è mancato nel dialogo con le istituzioni?
Informazione. Esistono mille bandi, incentivi, opportunità… ma la gente non ne sa nulla. Servirebbe un punto informativo stabile, una sorta di “camera di commercio di quartiere”. Le cose semplici, qui, diventano sempre complicate.
Parliamo della tua famiglia.
Sposato con Giulia dal 1987, tre figli e cinque nipoti. Abbiamo cercato di trasmettere loro valori solidi con l’esempio, non con le parole. Non abbiamo mai lasciato il quartiere: anzi, abbiamo scelto di investire qui.
E da nonno?
È un’emozione diversa. Da genitore sei più attento, da nonno ti godi ogni attimo. È un amore che non si può spiegare, si può solo vivere.
Cosa diresti a chi oggi non va più a votare?
Che sta regalando il proprio futuro agli altri. Il voto è l’unico strumento di democrazia. Se lo vendi per 50 euro, quello è il valore che dai a te stesso. Dobbiamo scegliere con coscienza e pretendere candidati all’altezza.
Che consigli daresti a giovani e startupper?
Scegliete un’attività che vi appassiona, studiate e affiancatevi a chi ne sa più di voi. Rubate il mestiere con gli occhi. Osservate, imparate. E quando potete, restituite al territorio.
Ultima domanda: che cosa vuoi fare da grande?
Arrivare al top con Dream Music… e poi cambiare mestiere, ancora una volta. Non si smette mai di crescere.
Grazie, Gaetano. La tua è una storia di umanità, resilienza e coraggio.
Grazie a voi. E continuiamo a costruire insieme un’Italia migliore, dal basso.
Francesco Russo

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