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Bianco Caterina

Benvenuta Caterina Bianco.
Grazie, benvenuti voi nella mia azienda. È un piacere essere qui.

Caterina, noi partiamo sempre dall’inizio. Ti va di raccontarci chi eri da bambina? Cosa sognavi di fare?
Da bambina, in realtà, ho cominciato a lavorare prestissimo. Avevo solo 10 anni. I miei genitori avevano due attività: mio padre faceva il trasportatore e mia madre aveva un bar. Il bar lo avevamo sotto casa e quando lo abbiamo aperto, il 16 luglio del 1978, io mi sono subito seduta dietro la cassa. Avevo proprio voglia di lavorare. Mia madre mi è rimasta accanto per due giorni, giusto per insegnarmi, poi mi ha lasciata andare da sola.

A dieci anni già lavoravi dietro una cassa? È incredibile.
Sì, e facevo anche il notturno con mio padre. Lavoravamo anche di notte, poi dormivo la mattina. Ero contentissima. Amavo stare con la gente, sentirmi utile. Per nove anni ho lavorato nel commercio, studiando allo stesso tempo. Prima di andare a scuola si facevano le pulizie al bar, poi al ritorno, un giorno io e un giorno mia sorella stavamo dietro la cassa. Chi non era giù, era sopra a sistemare. È stata una scuola di vita.

E tutto questo poi ti ha preparata ad affrontare con solidità il futuro, immagino.
Esattamente. Quando poi mi sono sposata e ho avuto mia figlia, ero già pronta a gestire casa, famiglia e lavoro. Avevo già sviluppato un metodo, una disciplina.

Com’è proseguita la tua vita professionale dopo il matrimonio?
Dopo qualche anno mi sono immersa nell’azienda di trasporto di mio padre. Gestivo tutto: parte amministrativa, contabilità, rapporti coi clienti, banche, pagamenti ai dipendenti. Solo la parte operativa la seguiva lui, ma ero pronta anche per quella.

Poi, però, qualcosa si è rotto in quel rapporto professionale.
Sì, purtroppo ho capito che mio padre, per motivi legati a una mentalità che definisco “povera cultura meridionale”, non avrebbe mai puntato su di me quanto su mio fratello. Nonostante i miei sforzi, ha scelto lui. È stato un colpo durissimo. Gli voglio bene, ogni domenica ci vediamo, ma quella ferita me la porto dentro. Non era per quello che ha fatto, ma per quello che non ha fatto.

Ed è lì che hai deciso di cambiare tutto?
Sì, a 30 anni ho detto basta. Se non c’è amore e armonia nel lavoro, per me non ha senso continuare. Avevo messo da parte la mia famiglia per quell’azienda, e non ricevevo nulla in cambio.

E da lì comincia la vostra storia imprenditoriale insieme a tuo marito Antonio.
Antonio lo conosco da quando avevo 12 anni e mezzo. È stato il mio primo e unico amore. Non uscivamo mai insieme, mio padre era molto severo. Dopo il fallimento del mobilificio di famiglia, Antonio ha iniziato a lavorare con mio padre, ma anche lui ha capito di valere di più. Così, con coraggio, ha deciso di mettersi in proprio.

E tu l’hai sostenuto in tutto.
Certo. Abbiamo preso uno stabilimento, cominciando con servizi di carico e scarico. Poi, nel 2005, due imprenditori del Nord ci chiesero di fornire cartone da raccolta differenziata. Da lì è nata l’attività. Antonio cominciò comprando carta da piccoli raccoglitori con l’ApeCar. Poi arrivò il decreto Ronchi e ci autorizzammo. Da lì una crescita costante.

Oggi la vostra azienda è una delle migliori nel settore.
Siamo piattaforma Corepla, tra le migliori in Italia. Non è facile diventarlo, servono requisiti e performance. Oggi lavoriamo 15 tipologie di prodotti e ne siamo molto orgogliosi.

Come gestivate la governance aziendale in due?
Eravamo sempre cane e gatto, ma ci univa lo stesso obiettivo. L’interesse dell’azienda veniva prima di tutto. Per noi l’azienda è come un figlio. L’abbiamo cresciuta insieme.

Quali sono, secondo te, le qualità fondamentali per un giovane che vuole fare impresa?
Credere in ciò che fa, avere obiettivi chiari e costruirsi un team valido. Da soli non si va lontano. E poi accettare le difficoltà, affrontarle con lucidità.

E le skills che hai imparato da bambina?
Il sacrificio. Non ho mai avuto paura di lavorare. Nemmeno davanti alla malattia di mio marito, che ho gestito con forza. Era un uomo complicato, ma anche generoso e brillante. Ho fatto anche da psicologa a volte.

Oggi tuo figlio è in azienda. Com’è stato per lui crescere in questo contesto?
Ha iniziato da piccolo. Le estati le passava qui, si alzava alle 5 e lavorava come tutti. Con i primi stipendi si è comprato la PlayStation, il cellulare, il computer. Un giorno mi disse: “Mamma, non siamo mai andati al mare insieme.” Mi colpì molto. Così dal 2007 abbiamo deciso di prenderci una settimana di ferie ogni anno.

E oggi, Caterina, sei anche nonna.
Sì… ho quattro nipoti. Sara, la prima, ha conosciuto suo nonno. Ricordo il giorno in cui è tornato a casa… ma in una bara. Lei scese le scale e lo vide. Pensava di riabbracciarlo. È un’immagine che non dimenticherò mai.

Sei un esempio per tante donne. Come ti vedi oggi?
Una donna che ha fatto tutto con il cuore. L’unico rimpianto? Non aver passato abbastanza tempo con i miei figli. Ma se oggi possono permettersi una vita diversa, è perché io e mio marito abbiamo costruito le basi.

Guardando avanti, cosa vedi nel futuro della tua azienda?
Continuità, grazie a mio figlio. Ma anche consapevolezza che bisogna sempre evolvere. Il nostro settore cambia continuamente e bisogna saper fare scelte coraggiose. Delegare, formarsi, investire. Altrimenti si resta indietro.

Se potessi mandare un messaggio a chi, come te, vuole arrivare in cima?
Impegno, passione, sacrificio. Niente scorciatoie. E ricordarsi sempre perché si è cominciato. Se vieni in azienda pensando di rilassarti, sei fuori strada. Serve sudore.

Cosa vuoi fare da grande?
Caterina (sorride): Riposarmi. Ho iniziato a 10 anni. Ne ho 57. Credo di essermelo meritato.

Caterina, sei stata autentica, intensa, ispirante. Grazie per aver condiviso con noi la tua storia.
Grazie a voi. Non sono mai riuscita a fingere. Sono sempre stata così. Vera.

Francesco Russo

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