0

Almellino Marilena

Marilena, di quale quartiere sei e che ricordo hai della tua infanzia?
Sono nata e cresciuta a Napoli, nel quartiere Sant’Antonio Abate, un luogo popolare, folkloristico, musicale, pieno di vita. Lì ho passato la mia adolescenza: eravamo un gruppo di quindici-venti ragazzi della stessa età, praticamente sempre per strada. Con alcuni sono ancora in contatto, con altri ci siamo persi di vista, ma resta un ricordo bellissimo di comunità e spensieratezza.

Da bambina cosa sognavi di fare?
In realtà non avevo le idee chiare. Più che un lavoro, sognavo l’amore. Ho iniziato a lavorare presto, intorno ai diciotto anni, dopo la ragioneria. A quel punto ho dovuto scegliere se proseguire con l’università o buttarmi subito nel lavoro. Ho scelto di lavorare e solo dopo, in un secondo momento, ho ripreso gli studi universitari. È stato un percorso inverso, nato più da consigli ricevuti che da una vocazione precisa. Col senno di poi, forse avrei fatto scelte diverse, un lavoro meno stressante, ma la mia strada è stata questa.

Ti ricordi il tuo primo giorno di lavoro?
Benissimo: entrai in uno studio che si occupava di consulenza fiscale e del lavoro. Mi affidarono subito il ruolo di addetta ai servizi esterni: dovevo portare fisicamente le pratiche alla Camera di Commercio, al Comune, all’Agenzia delle Entrate. All’epoca non esisteva il telematico: si andava allo sportello, si parlava con i funzionari, si creavano rapporti umani. Io, appena diciottenne, ho fatto così una grandissima esperienza: non solo tecnica, ma relazionale. Ricordo ancora un funzionario che, anni dopo, mi riconobbe dicendomi: “Io mi ricordo di te, venivi sempre qui!”. Oggi tutto questo non c’è più, la digitalizzazione ha snellito alcune procedure, ma ha tolto molto sul piano umano.

Quindi l’informatica ha reso i processi più veloci ma meno risolutivi?
Esatto. Prima perdevi più tempo a spostarti e fare le file, ma uscivi con il problema risolto. Oggi protocolli la pratica in pochi minuti, ma per la risposta aspetti giorni o settimane. Inoltre con alcuni enti, come l’INPS, la comunicazione è diventata difficilissima: spesso rimaniamo bloccati mesi su pratiche che prima risolvevamo in poche ore.

Quali ruoli ricopri oggi nello studio?
Sono consulente del lavoro, consulente fiscale e consulente aziendale. Da qualche anno abbiamo ampliato i servizi dedicandoci alla sicurezza sul lavoro, secondo le norme del Testo Unico 81/08. Organizziamo corsi di formazione per imprenditori e lavoratori: crediamo che solo la consapevolezza possa ridurre gli infortuni. Purtroppo molti imprenditori vedono la sicurezza come un costo, e tanti operai non conoscono neppure i rischi quotidiani. Gli incidenti recenti mi hanno colpita molto: spesso bastano dispositivi semplici come caschetti e imbracature per salvare vite.

Che consiglio dai agli imprenditori e ai lavoratori?
Agli imprenditori dico di investire in sicurezza: attrezzature adeguate, manutenzione costante, corsi di formazione. Non si può correre dietro ai lavori trascurando la vita delle persone. Agli operai dico di non rinunciare mai ai dispositivi di protezione, anche quando è scomodo, e di non usare attrezzature che non conoscono: se non sei formato, devi rifiutarti. In gioco c’è la pelle, non solo un turno di lavoro.

Quali sono i tre punti chiave per un cantiere sicuro?
Personale qualificato, corsi di formazione continui e manutenzione delle attrezzature. Sono i tre pilastri su cui si regge la sicurezza reale.

Come vedi il rapporto tra costi e sicurezza?
Oggi il costo del lavoro è altissimo e questo spinge alcuni a ricorrere al nero. Ma la verità è che la sicurezza è un investimento, non una spesa superflua. Gli strumenti di tutela come la Cassa Edile portano benefici agli operai e sostegno alle imprese. Il vero nodo è l’INPS: versiamo contributi per anni e spesso ci ritroviamo con pensioni minime, questo scoraggia. Sarebbero utili sgravi fiscali dedicati alla sicurezza: meno tasse per chi investe seriamente nella tutela dei lavoratori.

Parliamo della tua squadra: chi lavora con te?
La mia società si chiama Essenza: un nome scelto perché crediamo nell’“essere” e non nell’apparire. Lavoriamo in team: con me ci sono collaboratrici storiche, avvocati civilisti, consulenti di finanza agevolata, architetti, geometri, docenti di formazione. È una squadra ampia e affiatata, perché oggi nessun professionista può fare tutto da solo.

Che importanza hanno le relazioni e l’associazionismo per te?
Fondamentale. Io credo molto nel fare rete, tra professionisti e tra imprese. Faccio parte di due associazioni, APMI e ABNI, entrambe con ottime reti territoriali. Per me le relazioni sono la base per crescere, condividere competenze e affrontare nuove sfide.

Come è cambiato il tuo lavoro rispetto agli inizi?
La rivoluzione digitale ha trasformato tutto. Dalle file notturne per presentare dichiarazioni a mano, oggi è tutto online. Fra dieci anni l’evoluzione sarà l’intelligenza artificiale: se ben usata, potrà semplificare ulteriormente i processi, ma sempre a patto che ci siano dati completi e corretti da inserire.

Un consiglio agli studenti e uno agli imprenditori?
Agli studenti dico: specializzatevi. La cultura generale è importante, ma oggi serve avere una competenza verticale e coltivarla con passione. Agli imprenditori invece consiglio di circondarsi di professionisti qualificati: non pensare che un solo consulente possa fare tutto. Serve un team di esperti — dal commercialista al consulente del lavoro, dal fiscalista all’esperto di sicurezza. Solo così si può crescere in modo sano.

E a chi volesse seguire le tue orme?
Direi di studiare tanto e non smettere mai di formarsi. Ma soprattutto di creare relazioni e fare rete. È quello che ti sostiene davvero nel lungo percorso.

Lascia un commento

Scroll to top